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LE NEVI DEL KILIMANGIARO

LE NEVI DEL KILIMANGIARO


Uno dei più suggestivi spettacoli offerti dall’Africa australe è senz’altro costituito dalla visione della possente mole triangolare del Kilimangiaro, la montagna lucente, un antico vulcano con un diametro basale di 90 chilometri che si staglia sulla piatta ed arida savana Masai. Nonostante i suoi 5.895 metri di altezza ne facciano la maggior vetta africana, fino alla metà del 1800 la sua esistenza era ignorata dai geografi occidentali. Fu infatti solo nel 1848 che il missionario tedesco Johann Rebmann comunicò in Europa di aver avvistato una montagna altissima, la cui sommità era coperta da una calotta permanente di ghiaccio. Non era facile, a quell’epoca, far credere all’esistenza di ghiacciai all’Equatore e, ovviamente, Rebmann fu tacciato di essere un visionario, sorte per altro condivisa anche dal confratello Krapf che un anno dopo avrebbe scoperto il monte Kenya, anch’esso ricoperto da un ghiacciaio. Attorno al 1860 iniziarono le esplorazioni in zona e i tentativi di raggiungerne la vetta. Dopo innumerevoli traversie, anche per l’ostilità manifestata dalle tribù locali dei Wa Chagga, che consideravano da sempre la montagna sacra e inviolabile, il successo toccò al professore tedesco Hans Meyer, il quale riuscì a conquistarlo il 24 settembre 1889, scoprendo l’enorme caldera del diametro di due chilometri che ne occupa la cima. Per primo egli scorse all’interno l’ampia seraccata di nord-est e le fumarole di zolfo ancora in attività.

Il Kilimangiaro sorge in Tanzania, presso il confine con il Kenya, sul bordo di quell’immane frattura geologica denominata Rift Valley, un solco lungo ben 9.600 chilometri che prende origine dai monti del Tauro in Turchia e prosegue verso sud-ovest lungo la fossa del Mar Morto, il Mar Rosso, la depressione della Dancalia, la fossa Gaella in Etiopia e i laghi Turkana, Tanganika, Kiwu, Edoardo e Alberto. Ai lati di questa gigantesca spaccatura geologica, risalente al Terziario e interessata in passato da fenomeni vulcanici di ingente entità, si ergono le più alte montagne del continente: il Ruwenzori (5.119 metri), il Kenya (5.185 metri) e il Kilimangiaro, tutti vulcani spenti. La loro consistente massa blocca i venti provenienti dall’oceano Indiano, determinando ingenti correnti ascensionali e quindi una forte nuvolosità, con intense precipitazioni a carattere piovoso e nevoso. Il risultato è un quadro paesaggistico unico, dominato dal contrasto tra il verde intenso della rigogliosa foresta tropicale estesa sulle sue pendici e lo scintillio sommitale delle nevi eterne, magistralmente descritte da Hemingway. Oltre che bello esteticamente, il Kilimangiaro è anche il “seimila” più facile da salire tra quelli esistenti sulla terra, alla portata di chiunque abbia una certa dimestichezza con i lunghi trekking di alta montagna. Ciò grazie alla sua conformazione, alla rete di rifugi esistente e all’organizzazione di guide e portatori predisposta dall’omonimo parco nazionale che ne regola l’accesso. In pratica gli unici inconvenienti possono essere costituiti dall’altitudine e dall’affaticamento, risolvibili con un opportuno preventivo allenamento compiuto in alta quota.

Fondamentalmente esistono tre diverse vie di salita, con caratteristiche differenti, per giungere alla cima, tutte in partenza da Marangu, a quota 1.800 metri. Quella più facile attraverso una fitta fascia boschiva sale in quattro ore al rifugio Mandara (quota 2.750 m) e con altre cinque ore tra cespugli di eria, seneci e lobelie raggiunge il rifugio Horombo , a 3.750 m e già in vista della vetta. Da qui, su nude rocce di lava si raggiunge la sella di collegamento tra il Mawenzi e il Kibo, giungendo con sempre maggior fatica ai 4.800 m (l’altezza del nostro monte Bianco) del rifugio Kibo. Dopo poche ore di riposo, in piena notte si parte alla volta del bordo del cratere, della Punta Guillman (5.685 m) e della Punta Hururu, la più alta con 5.895 m. In tutto sette ore di salita , assai faticose per l’elevata quota. Uno degli a spetti più interessanti di questa salita è costituito dall’attraversamento dei differenti ambienti che si incontrano: la foresta alla base, la savana a metà, il deserto roccioso in alta quota e infine il ghiacciaio sommitale. Inoltre dalla vetta si riesce a percepire la rotondità della terra, una sensazione che si può provare in pochissimi altri luoghi al mondo.

La salita del Kilimangiaro costituisce una delle 26 proposte della sezione Trekking World dell’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.viaggilevi.com), specializzato con il proprio catalogo Alla scoperta dell’insolito in itinerari a valenza ambientale, geografica e etnografica negli angoli più remoti del pianeta. I trekking di Viaggi Levi, realizzati sulle più belle montagne del mondo dalle Ande all’Himalaya (ma anche in altri luoghi inimmaginabili come Brasile, Colombia, Hawaii, Mongolia, Kirghizistan, Turchia, Giordania, Uganda, Marocco, Madagascar Groenlandia e Islanda) non rappresentano imprese sportive, ma un modo naturale di viaggiare per raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili.  Viaggio di 9 giorni (6 di trekking) con guide locali di lingua inglese, partenze individuali settimanali per tutto l’anno (esclusi maggio e giugno) minimo 2 persone, quote da 1.500 euro in doppia, voli da 780 euro. Possibilità di estensione di 4 giorni per un safari nei parchi del nord della Tanzania.
 

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Morello Pecchioli
Le nevi del kilimangiaro

Morello Pecchioli

Morello Pecchioli

Direttore di Golosoecurioso. Giornalista professionista. Archeogastronomo. È stato caposervizio del giornale L’Arena di Verona. Ha scritto i libri “Il Bianco di Custoza”; “Il rosto e l’alesso, la cucina veronese tra l’occupazione francese e quella austriaca”; “Berto Barbarani il poeta di Verona”. Scrive per la rivista nazionale dell'Associazione italiana sommelier "Vitae", per "Il sommelier veneto" e per il quotidiano nazionale La Verità diretto da Maurizio Belpietro. Ha collaborato, con Edoardo Raspelli, alla Guida l’Espresso. È ispettore della guida "Best gourmet dell'Alpe Adria". Ha vinto i premi Cilento 2006; Giornalista del Durello 2007; Garda Hills 2008. Nel 2016 ha avuto il prestigioso riconoscimento internazionale Premio Ischia per la narrazione enogastronomica. Nel 2016 ha scritto il libro "Le verdure dimenticate" e nel 2017 "I frutti dimenticati", pubblicati entrambi da Gribaudo. Sempre per Gribaudo ha scritto "Il grande libro delle frittate". In collaborazione con Slow Food ha pubblicato nel 2018 il volumetto sul presidio "Il broccoletto di Custoza".
Indirizzo mail: morello.pecchioli@golosoecurioso.it

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